
(a cura di Nicola Gervasini)
Una milanese di origini vietnamite mi raccontava che l'impressione che si ha viaggiando per il Vietnam nei giorni nostri è che tutto ciò che riguarda la guerra con gli americani sia stato in qualche modo cancellato e rimosso. La popolazione è oggi anagraficamente molto giovane, e nessuno pare aver voglia di guardarsi alle spalle. Anche perché - secondo lei - la vera guerra che nessuno ha voglia di riesumare non è stata quella con gli yankee invasori, quanto quella fratricida tra nord e sud, che ha vissuto proprio nel momento della dipartita degli americani il momento più tragico e truce, quando venne il tempo delle vendette personali e dei conti da saldare. Nella cultura statunitense invece la parola Vietnam continua a risvegliare sempre nuovi fantasmi. La ferita è talmente aperta, che un cofanetto di canzoni dedicate ad un avvenimento storico ufficialmente concluso nel 1975 può permettersi di spingersi fino al 2008 nel trovare nuove testimonianze in musica. Ed è solo perché bisognava trovare un limite che si sono fermati, perché poi a ben guardare qualsiasi canzone sulla guerra scritta in America negli ultimi quarant'anni, pensa a quella guerra. Willie Nile ad esempio ha confessato che il brano Now That The War Is Over, contenuto nel suo House Of Thousand Guitars del 2009, è stato scritto con il pensiero agli anni 70 e a quel conflitto, ma all'ultimo momento ha sostituito la parola "Vietnam" con "Pakistan" per renderlo più attuale. Scrupolo inutile probabilmente, perché poi a ben guardare di canzoni che pensano al Vietnam continuano ad uscirne più che di ogni altro scenario bellico odierno, forse perché è ancora presto per misurare l'impatto che gli avvenimenti più recenti hanno avuto sulla nostra vita, come invece ha potuto fare il Tom Russell di East Of Woodstock, West Of Viet Nam (brano del recente album Blood and Candle Smoke), in cui il vecchio cantastorie ricorda gli anni della perdita del suo "cuore adolescente" legandoli proprio a quegli avvenimenti. Ma non sono solo i rocker anziani a ragionare sempre in termini di Vietnam: Elvis Perkins nella sua Emile's Vietnam In The Sky (era su Ash Wednesday del 2007) si spinge a citare una frase di sua madre ("sai dove si va quando si muore?") pronunciata dalla sfortunata pochi giorni prima di morire davvero su uno degli aerei dell'11 settembre 2001, ma la immerge storicamente nella cupa atmosfera del Vietnam del periodo coloniale e della guerra di Indocina. E proprio la tragedia delle Torri Gemelle ha evidenziato quanto la guerra del Vietnam sia stata la vera svolta cruciale nella storia americana, perché invece di sostituirsi come shock culturale preponderante, ne ha rianimato l'interesse e le citazioni, come se anche il lutto nazionale dell'11 settembre potesse essere elaborato solo ripercorrendo il sentiero di Ho Chi Minh ancora un volta. Per dirla come l'avrebbe detta Billy Joel dunque, il Vietnam è uno stato della mente, neanche più un fatto storico. Di libri e cofanetti che raccontano come il rock e il Vietnam vivano sempre in perfetta simbiosi potremo leggerne ed ascoltarne ancora a lungo, forse fino a quando un'altra potenza egemone, un'altra cultura dominante, o un altro tipo di arte pregna della fresca carica comunicativa che fu del rock di quarant'anni fa, non troveranno un loro Vietnam
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